Mi ci sono voluti “solo” 6 giorni per trovare le forze e le
parole (o almeno spero di averle trovate) per parlare della prima data di
questo tour.
L’insieme di casualità, coincidenze, allineamenti che si
sono messi in gioco questa volta, per portarci a questa data, ha davvero
qualcosa di assurdo, e dire che di cose assurde me ne sono capitate un sacco
negli ultimi anni!
Ricordo ancora benissimo quando alla fine dello scorso tour
io e Marta ci siamo guardate e ci siamo dette “ma se il prossimo tour comincia
mentre sono a Milano come facciamo?”. Ricordo perfettamente tutte le volte in
cui ce lo siamo ripetute durante l’inverno. Ricordo il senso d’impotenza per
non poterci essere durante i firmacopie in Sardegna, e il continuo pensiero di
come mi sarei sentita se fosse successa la stessa cosa per un concerto. Ma ricordo
anche perfettamente come, alla fine di tutto, anche da lontano, a quel
firmacopie a Cagliari io ci sia stata, nonostante tutto. E forse già allora
avrei dovuto capire che qualcosa nell’universo si sarebbe allineato per darmi
la possibilità di poter essere presente almeno ad una data di questo Bagagli
Leggeri Tour.
Marta Porru Photographer
Marta Porru Photographer
Ricordo il senso di ansia quando ho saputo di dover partire
per la Corea per lavoro. Perché sì, insieme alla felicità immensa e alla gratitudine,
c’è stata anche un po’ d’ansia. Ma ricordo ancora più lucidamente l’incredulità
nel vedere annunciata la data di Perfugas il 2 agosto, esattamente 2 giorni
dopo il mio rientro già previsto da mesi.
Perché sapevo che non ci sarebbe mai potuto essere un modo
migliore per tornare a casa.
Perché sapevo che, in quel modo, sarei tornata a casa a
tutti gli effetti.
È incredibile come, nonostante tutto cambi continuamente e
la vita evolva e si cresca, ci siano cose che sembrano rimanere immutate nel
tempo. Ritrovarmi, ancora una volta, in macchina con Marta verso una nuova meta
dove avrei ritrovato tutti i miei visi preferiti è senza dubbio una di quelle.
Questa data è stata davvero come tornare a casa, in ogni
senso possibile e immaginabile.
È stato tornare in Sardegna, anche se per una volta le due
cose non erano collegate.
È stato tornare dalla mia famiglia. Anzi, dalle mie
famiglie. Da quella di sangue, che mi mancava più di quanto credevo fosse
possibile. E da quella che mi sono costruita negli ultimi 12 anni, e che si è
rafforzata negli ultimi 2 anni in un modo che ancora fatico a realizzare.
È stato tornare ai negozi dei cinesi per comprare qualunque
cosa ci venisse in mente per rendere le scenografie speciali come sempre
(questa volta con qualche difficoltà in più, ma ne faremo tesoro).
È stato tornare attaccata alla transenna, con accanto a me
la mia famiglia, e di fronte Marco. E già questo dovrebbe bastare per capire il
senso di pienezza che ho provato nell’attimo in cui tutto è iniziato. Ma so che
non è così. So che non basta. So che non si può capire. E se da un lato ancora
oggi mi dispiace, dall’altra mi sento comunque sempre più fortunata, ad avere
il privilegio di poter vantare nella mia vita una cosa talmente grande e
intensa, da essere diventata CASA nel senso più profondo che questa parola può
avere.
Perché per quanto assurdo, è così.
Quando qualcuno dice “nessun posto è come casa”, io penso
sempre ad un palco con Marco sopra. Alle transenne con noi 5 uno accanto all’altro.
E questa sarà, per me, sempre la cosa più importante e più grande per cui dovrò
dire grazie a Marco.
Per avermi insegnato che, davvero, non importa il posto ma
le persone e le circostanze per cui lo vivi.
Per avermi insegnato che anche un paese sperduto in mezzo al
nulla può diventare un posto bellissimo quando ci arrivi seguendo il cuore.
Mi porto dentro la notte prima del concerto, per la prima
volta nella nuova casa di Marta, per la prima volta in quella stanza che ormai è
mia e di Pascal. O meglio, di Pascal e mia!
Mi porto dentro l’abbraccio con Dani, che rimane sempre il
mio punto fermo in mezzo a tutto. Anche quando passano i mesi. Anche quando non
ci sentiamo. Anche quando la vita ci travolge. So sempre che alla fine la
troverò alla mia sinistra a prendermi per mano, a chiedermi se ho cenato e,
ovviamente, ad offrirmi un bicchiere di birra!
Mi porto dentro (e anche fuori) i dolori agli addominali e
le lacrime agli occhi, perché questo è l’unico modo in cui può finire quando
io, Marta, Gino e Valentina ci troviamo insieme per una giornata intera!
Ma, più di tutto, mi porto dentro Marco. Il suo sorriso e la
sua felicità nello stare di nuovo sul palco. Mi porto dentro l’emozione palpabile
su “Una foto di me e di te”.
Non so se sia normale che dopo tutti questi anni ci siano
ancora dei momenti che mi toccano così tanto. Certi sguardi e certe dediche. Ma
che sia normale o meno, è l’unica cosa vera che posso dire. Il modo in cui, ogni
volta, Marco ci dedica “Il segno che ho di te” mi fa sorridere, ma il modo
in cui lo ha fatto a Perfugas, l’orgoglio e l’amore che aveva negli occhi, il “qualcuno
lo chiama fan club, ma per me è semplicemente il “WorldPaper, e io vi vedo, vi
vedo tutti qui davanti, nelle prime file, e vi voglio bene e questa è solo per
voi e per noi”, mi fa stringere il cuore. Perché l’orgoglio con cui guarda noi,
è lo stesso con cui noi guardiamo lui. Con cui io guardo Marco da quando ho 13
anni. Ed è assurdo. Sempre assurdo realizzare che Marco è nella mia vita da
metà della mia vita. Sempre assurdo ricordare quanto sia cresciuta con Marco. Quante
volte lui mi abbia accompagnato senza neanche saperlo. Quante note mi abbiano salvata
da giornate incredibilmente nere.
Ripenso a “La destinazione siamo noi” e mi manca il fiato. Mi
manca il fiato per quel “andrà tutto bene comunque vada” urlato al mondo e al
cielo, credendoci noi e lui, sperandoci insieme. Mi manca il fiato per quel
momento, un secondo prima del primo ritornello, in cui ci ha indicato e ci ha
passato il microfono per farci urlare LA DESTINAZIONE SIAMO NOI, con una forza
nello sguardo e un desiderio che spero, con tutto il cuore, che non sia stato
tradito da noi.
Ma forse, tra i momenti più commoventi, ricordo quel piccolo
momento dietro il palco. Quel “grazie ragazzi, come sempre”, dritto negli occhi.
Con tutta l’onestà, la purezza e semplicità che ho sempre apprezzato di Marco. E
aver ritrovato tutte queste cose, ancora una volta, è stato bello. È stata una
di quelle cose che non dimentico. È stato nostro, e questo basta.
Non è stato tutto perfetto, inutile negarlo. Ma la verità è
che non abbiamo MAI inseguito la perfezione. Ma sempre, sempre, sempre, solo il
cuore. E il cuore ci ha sempre portato da te. Il cuore, ancora oggi, ci porta
per strade assurde, situazioni paradossali, sole cocente, pioggia (mai che
manchi). Il cuore ci porta a casa. E casa sei sempre tu.
Ci portiamo dentro, però, anche un po’ di rammarico, per
aver avuto la conferma di quanto sia difficile questo momento. E questo
rammarico è la cosa che mi infastidisce di più. La cosa che mi turba di più in
assoluto. Sapere che questo cd non stia avendo lo spazio che meritava per
motivi lontani dalla musica e lontani da Marco mi crea un malessere e un
fastidio che vorrei poter spiegare. E allora l’unica cosa che spero è che, una
volta passata la tempesta, perché la tempesta passerà, tu possa riprenderti
tutto ciò che ti è stato tolto negli ultimi mesi. Non solo a livello musicale,
ma forse soprattutto, in questo caso, a livello umano. Perché dopo 12 anni che
vivi un artista nel modo in cui lo abbiamo fatto noi, è impossibile che una
cosa del genere non diventi un po’ personale anche per noi.
Non so quanto ci vorrà, ma se posso fare una cosa è
prometterti che quando il cielo tornerà sereno, noi saremo ancora lì. Ancora più
forti. Ancora più noi.
Grazie, per averci regalato un altro ricordo da custodire
gelosamente.
Non so se sarà l’unica data di questo tour a cui prenderò parte.
Il pensiero mi lascia con l’amaro in bocca se penso a quanto abbiamo viaggiato
lo scorso anno.
Ma so, per certo, che ci troveremo presto di nuovo.
E ci sentiremo
Una
Cosa
Sola.
Per sempre.
Giulia.
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