29 Agosto 2018. 22.28.
Sassari
Ho provato, da quando sono
rientrata dalla Sicilia, diverse volte a mettermi al pc, davanti al mio solito
foglio bianco, per scrivere il mio solito resoconto post-concerto, ma questo
tentativo, fino ad oggi, è sempre fallito. Questo credo sia successo per
diversi motivi. In parte sicuramente per la necessità di recuperare ore di
sonno, considerato che il viaggio ha coinciso con l’inizio delle mie vacanze
(che dureranno molto poco) estive (aver dormito quasi 12 ore su un materassino
in nave ho deciso che non varrà come riposo ufficiale, tanto per farvelo
sapere). Ma credo che la ragione più grande sia stato il malumore che mi ha
colpito al rientro, in seguito ad alcuni fatti abbastanza spiacevoli.
Ma ho deciso che non starò qui a
parlarne. Ho deciso, voglio, che questo resoconto sia tutto e unicamente
positivo. Ho deciso e voglio ricordare questo viaggio, questo concerto,
unicamente per il buono e il bello che mi ha portato. Così, sono andata a
vedere un po’ di foto scattate da Marta, un po’ di dirette qua e là, e dopo che
ieri ho passato circa mezz’ora a tediare mia madre con tutti i dettagli del
concerto, sentivo davvero di aver ritrovato il mood giusto. Beh, in realtà così
non è stato. A quanto pare avevo bisogno della cosa più semplice del mondo:
sedermi con Marta e ricordare tutti i minimi dettagli, quelli divertenti e
quelli meno, davanti ad un bel piatto di pasta e mentre lei rischiava di sputarmi
il melone in faccia.
Ricordo ancora benissimo il
giorno in cui uscì la data in Sicilia. Non ricordo il giorno esatto, ma ricordo
perfettamente l’assurdità del momento. Ricordo di come, esattamente il giorno
prima, mi fossero capitate davanti alcune foto di paesaggi siciliani e avessi
pensato che sarebbe stato bello visitarli. E ricordo benissimo di aver ricevuto,
esattamente 2 secondi dopo l’annuncio della data, un messaggio di Marta “Giulia.
Voglio andare in Sicilia”. In un altro momento, in un altro contesto, e per
un’altra persona, avrei pensato che si trattasse di una coincidenza, di un caso
pazzesco. Ma ho imparato, negli anni, che quando si tratta di Marco, il caso
non c’entra assolutamente niente. Per questo motivo non è stato poi così
difficile dire “Andiamo. Facciamolo”. E non è stato difficile neanche trovare
il modo per farlo. Non è stato difficile dire alla mia famiglia “Io lavoro, ma
il 21 vado in vacanza”. Non è stato sicuramente difficile metterci in macchina
il 21 sera per arrivare a Cagliari. Ed è stato tutt’altro che difficile
ritrovare, quella sera stessa, i sorrisi e gli abbracci delle persone che
questo tour (e non solo) l’hanno vissuto con noi. Dall’inizio alla fine. E,
onestamente, non è stato difficile neanche credere che Gino avesse deciso di
fare il biglietto della nave meno di 12 ore prima della partenza, accettando di
dormire per 4 notti su un materassino gonfiabile (comprato prima di fare il
biglietto della nave ma ehi, se facesse le cose normalmente non sarebbe lui,
giusto?!).
Sembra quasi surreale realizzare
che questo tour l’abbiamo davvero aperto e chiuso insieme, da Policoro (non
riesco più a scriverlo giusto, grazie mille) a Roccamena, passando per Galtellì,
per Pula (sia “Pula non Pula” che “Pula Pula”), Cabras e Ussana. Noi c’eravamo
sempre, ed è una consapevolezza che mi fa sorridere. Sapere di aver condiviso
tutte queste cose, tutte queste emozioni pazzesche con queste persone che amo
infinitamente. Sapere di averle, in qualche modo, trovate e ritrovate.
Ed è ancora più bella la
sensazione che ho, dopo questo viaggio. Quella di essere ancora più vicina e
legata a tutti loro, perché nonostante il fatto che ci conosciamo da 10 anni,
mai come quest’anno abbiamo davvero condiviso qualcosa di così forte, insieme.
Vorrei dirvi che siamo stati dei
turisti esemplari, che abbiamo progettato un itinerario che è stato poi seguito
alla lettera. Vorrei dirvi che abbiamo visitato tutti i monumenti possibili e
immaginabili e che abbiamo mangiato leggero così da essere sempre carichi. Ma
ecco, sarebbe decisamente una bugia! A nostra discolpa, però, devo dire che:
1. È
piovuto tutti.i.dannatissimi.giorni. Dovrei considerare una coincidenza il
fatto che sia successo proprio mentre io stavo in ferie? IO NON CREDO
2. Si
pagava. TUTTO. E con tutto intendo proprio TUTTO, Chiese, Cupole, Giardini.
Così, nonostante la passione (da noi solo recentemente scoperta) di Daniela per
le Chiese, abbiamo dovuto accontentarci di vederne solo qualcuna (per Gino sono
state comunque troppe) e ad ogni suo “guardate ragazzi, una chiesa”, noi ci
salvavamo con “vabbè ma tanto si paga. Oppure è chiusa”
3. Il
cibo è buono. C’è poco da girarci intorno, fritto o non fritto, dolce o salato,
il cibo era semplicemente troppo buono per poter essere abbandonato. Certo,
qualcuno di noi ha esagerato più di altri ma ecco, questa volta eviterò di fare
i nomi.
Insomma, esattamente come ogni
altra cosa che ci accomuna, questo viaggio è stato tutt’altro che ordinario. Abbiamo
scoperto una nuova parola in codice (PIT), ho realizzato che dico “ma chi?”
alla Valeria Marini più volte di quante vorrei e ultimo, ma certamente non per
importanza, abbiamo tutti capito che il telefono di Dani è scarico e non prende
più o meno per il 90% del tempo.
Ma la vera avventura non sono
state le 24 ore di nave, tra andata e ritorno. Non è stata neanche la corsa con
valigie a carico verso il porto rischiando di rimanere bloccati un’altra
settimana a Palermo. La vera avventura è stata, senza dubbio, il tragitto verso
Roccamena. Tra il fango, un “rallenta” di Daniela, i fossi, un “rallenta” di
Daniela, le salite, un “qui ci ammazzano” di Gino, i cartelli improbabili e
tutti noi che “oddio Marco deve fare questa strada”, il tratto dalla fine della
“autostrada” fino al paese è durato più di tutto il resto del viaggio. Ma ehi,
ce l’abbiamo fatta!
Mi piacerebbe anche dire che il
primo approccio col paese sia stato positivo, ma anche in questo caso: perché mentire?
È stato, però, bello ricredersi. È stato bello arrivare in un posto che sembrava
tutto eccetto che accogliente, e trovare invece persone che ci hanno,
letteralmente, aperto le porte di case e Chiese (giuro che a Roccamena erano aperte!).
E’ stato bello trovare quel genere di accoglienza che avremmo potuto trovare anche
in Sardegna e, per questo, sentirci un po’ meno lontani da casa. È stato quasi
emozionante trovare un barista che ha deciso di offrirci un caffè, perché “sono
stato 3 anni a La Maddalena, ne sono innamorato e mi manca”. E’ stato
sicuramente un colpo di fortuna trovare qualcuno che ci desse riparo in
oratorio mentre venivamo assaliti (io e Gino letteralmente) dalla pioggia
(pensavamo davvero di poter finire il tour col sole?!).
È stato bello, tra le altre cose,
notare i sorrisi delle persone incredule all’idea che potessimo venire da tanto
lontano, o che potessimo essere lì da tanto presto. I sorrisi maturi di chi
forse non è mai andato molto oltre casa propria, e ci ha guardato con quel
misto di ammirazione e incredulità. Così, per questo, mi sento di dire grazie a
Marco. Per avermi insegnato ad essere coraggiosa, ad uscire dalla mia zona di comfort
più volte di quante ricordi. Per avermi spinto (senza fatica alcuna) a fare
programmi all’ultimo secondo, a fare armi e bagagli e partire e chi se ne
importa dove o quando, l’importante è andare. Perché so, che una volta cresciuta,
una volta che le responsabilità saranno tante, una volta che avrò l’età di quelle
persone, potrò guardarmi indietro con malinconia ma mai con rammarico o rimpianto.
Perché saprò di aver sempre seguito il cuore e lo stomaco.
Per qualcuno può sembrare un caso
anche ci siamo trovati a Roccamena, a cercare di fare una sorpresa a Marco, proprio
nel giorno in cui è venuta a mancare Asietta. Io, invece, voglio credere che qualcuno
o qualcosa ci abbiamo mandati lì esattamente quando aveva bisogno di trovare
visi familiari, quando aveva bisogno di qualcuno che facesse un bordello
pazzesco, che “disturbasse la quiete pubblica”. È stato bello vedere il suo
sorriso, nel trovarci sotto il palco. Bello perché un sorriso sincero, mai finto
o forzato. È stato divertente vederlo posizionarsi esattamente al limite del
palco, quando abbiamo iniziato a lanciarci i coriandoli, come se volesse farne
parte anche lui. Assolutamente esilarante vederlo tirarsi la maglietta bianca per
farsi colpire dai Policolor.
Marta Porru Photographer |
È stato emozionante vederlo
venire verso di noi di proposito, per farci cantare un pezzetto de La forza mia in sardo, con tanto
orgoglio negli occhi. È stato incredibile sentirlo dedicare a tutta la sua
terra No Potho Reposare, anche se lontano da casa, con le mani mie, di Daniela,
di Marta e di Gino strette forti in un unico abbraccio. Ed è stato
assolutamente pazzesco vederlo girarsi dalla band per chiedergli di
improvvisare Destinazione paradiso. Pazzesco perché quella canzone è mia e di
Marta e l’abbiamo cantata strette strette fino all’ultima nota, sentendone ogni
parola, gridandone alcune più forti di altre.
Ma una delle cose che mi
rimarranno sempre più impressa, è il calore che ha riservato a Marco quel
piccolo paese. Quello di Roccamena resterà, per me, il miglior pubblico di
questo tour, a pari merito forse solo con quello di Pula. Ho visto persone che
erano arrivate dicendo “no a me non piace, sto solo accompagnando” finire il
concerto sudati da quanto avevano saltato e ballato. Ho visto adulti e meno
adulti cantare ogni parola di ogni canzone a squarciagola. Ho visto gente
tirare fuori i telefoni e accendere le torce nell’esatto momento in cui Marco
lo ha chiesto. Ho visto persone partecipare alla nostra piccola scenografia
entusiaste, senza preoccuparsi neanche un secondo degli abiti sporchi di
colori. Ho visto un pubblico vivo e partecipe. Ho sentito un “se non canti l’ultima,
noi non ce ne andiamo” tra Senza rumore e il bis che mi ha fatto sorridere
immensamente, perché non veniva dalle prime file dei fan accaniti, ma dalle
retrovie, da chi forse era lì per caso ma poi è rimasto fino alla fine per
scelta.
Roccamena me lo porto nel cuore
per tanti motivi. E nonostante le cose spiacevoli, parlando con Marta oggi ho
realizzato quanto in realtà siano poi quelle positive a prevalere. Perché abbiamo
cantato e saltato consapevoli che con tutta probabilità sarebbe stata la nostra
ultima data, e ce la siamo goduta fino in fondo. Perché abbiamo visto piccoli
grandi spiragli di felicità negli occhi di Marco, che ad oggi fanno la differenza.
Perché so che finchè lo vedremo così felice, non smetteremo mai, mai, mai di
fare ciò che facciamo. Di costruire carnevali e ambaradam, di cantare a
squarciagola anche se strilliamo come campane (non sempre, ma capita!), di
saltare e rischiare di schiacciare i piedi degli altri.
Marta Porru Photographer |
Mi sento molto fortunata. Sia per
aver intrapreso questo viaggio, sia per averlo fatto con queste persone. Mi sento,
inoltre, molto fortunata perché anche le persone che sono rimaste a casa, ce le
siamo portate nel cuore e le abbiamo sentite davvero vicinissime. E questo è,
credo, ciò che ci distinguerà sempre dagli altri. La capacità di vivere queste
avventure con serenità e gioia, la voglia di condividerle con le persone che ci
stanno a cuore. Il tutto senza invidie né dispetti, ma sempre, sempre, sempre
mettendoci l’anima.
Perché quello che ho imparato, in
questi 10 anni, è che ogni cosa che ho e abbiamo fatto con il cuore, sentendola
davvero, ci ha reso sempre maledettamente felici. E questo ha fatto sì che mai,
neanche una volta in 10 anni, abbia fatto qualcosa perché sentivo di doverla
fare, ma solo ed unicamente perché la sentivo e basta.
Non sono mai andata ad un
concerto di Marco per far numero o perché “dovevo” esserci. La verità è che la
maggior parte delle volte l’ho fatto per puro egoismo, perché ero io ad averne
bisogno. Per questo, quando Marco presentando Il segno che ho di te ha detto “io
in realtà non faccio niente, canto e basta”, avrei voluto dirgli che in realtà
fa e ha sempre fatto molto più di questo. Avrei voluto dirgli che è, da sempre,
l’unico artista in cui trovo sempre un po’ di forza.
Ed è stato così anche questa
volta. Ho deciso di andare in Sicilia perché sapevo che ne avrei avuto bisogno.
Perché sapevo che dopo Ussana non sarei stata ancora pronta a salutare questo
tour (e comunque se pensate che lo sia adesso, vi sbagliate di grosso). Perché sapevo
che avrei avuto bisogno di un altro pezzo di questo nostro mondo prima di
tornare a Milano per un altro lungo inverno.
Ma l’ho fatto anche perché, fin
dall’inizio del tour, ho sentito la voglia e la necessità di viverlo appieno,
il più intensamente possibile. E oggi credo che questo derivi dalla mia
ansia/paura per il futuro. Per dove mi porteranno tutte le cose che sto
facendo. E allora, anche questa volta, sono venuta da te a cercare le risposte
di cui avevo bisogno. E l’ho fatto anche perché le responsabilità di cui
necessariamente dovrò farmi carico a breve mi spaventano. Mi spaventa non trovare
più il tempo per tornare a casa. Mi spaventa alienarmi totalmente in una vita
completamente diversa da quella che ho sempre vissuto. Forse scioccamente, mi
spaventa anche la consapevolezza che presto, una volta finito di studiare e
iniziato a lavorare, forse non avrò più modo per esserci come ho fatto fino ad
ora, per fare follie e prenotare aerei improvvisamente per seguirti. E forse
per questo già ti chiedo un po’ scusa. Ma ti prometto che, indipendentemente da
dove mi porterà la vita, indipendentemente da quale casino starò affrontando,
smuoverò sempre mari e monti per esserci, se non fisicamente sempre e comunque
con tutto il cuore che ho.
Grazie. Prima di tutto ai miei
compagni di viaggio. Per avermi confermato, ancora una volta, che non avrei mai
mai mai potuto desiderare nessuno di diverso da voi per vivere questo pezzo di
vita.
A Martina, per i sorrisi in
videochiamata post-concerto, per la nostra felicità che diventa anche sua perché
è semplicemente fatta così. Non vedo l’ora di averti lì sotto con noi.
A Valentina e Giorgia. Voi sapete
perché.
A Katia. Per aver confermato e rafforzato ogni impressione positiva che avevo di lei.
A CartaVincente e tutti coloro
che sono stati felici della nostra felicità.
A te, per avermi regalato una
delle serate più belle di sempre. Per averci regalato un tour infinitamente
bello e ricco e pieno, che non dimenticheremo mai.
Per averci regalato, ancora una
volta, te.
Buona fortuna per la tua nuova
sfida, anche se so che non ne hai bisogno. Non esistono parole al mondo per
esprimere quanto sia orgogliosa di te.
Penso sempre che un giorno non
avrò più niente da dire o da scrivere o da sentire, alla fine di un concerto. Ma
poi quel giorno non arriva mai. Grazie anche per questo. Per farmi scoprire,
sempre, piccoli nuovi pezzi di me.
Giulia.
1 commento:
perchè assistere ad un concerto di Marco non è fare numero.
è essere parte attiva dello stesso.
viverlo appieno vuol dire: esultare quando arriva una data nuova, verificare come arrivarci( km, tempo, meteo e soldi a disposizione)
la voglia quella sempre in abbondanza.
contare i giorni, ore, minuti e secondi che mancano.
preparare le coreografie, questo mi dispiace è un tuo problema Jimmy.
aspettare l'alba senza dormire....e arrivare alla sera sfatti....
ma quando la band ci fa arrivare le prime note dell'intro diventiamo ( tutti) subito Bolt allo sparo dello starter.
poi arriva il Boss e tutta la fatica, l'ansia sparisce
tutto diventa EMOZIONE, FELICITA' E VOGLIA DI VIVERE, CANTARE E BALLARE.
voglia di lanciare coriandoli, bolle di sapone, polverine colorate....che incontrano nell'aria le note della voce di Marco.
questo è andare ad un CONCERTO DI MARCO.
ps. se ti azzardi a scrivere un altra volta piangendo non ce la faccio a venire...ti prendo a strattalarasa Giuly.
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